Nazionalismi che portano la loro sfida su ogni terreno, con un massiccio e deformato «uso politico» della storia che inizia fin dai banchi di scuola.
Talora un uso della storia come arma da guerra, come era stato nella ex Jugoslavia e come è nella Russia di Putin: strumento, qui, per legittimare politiche imperiali aggressive e costruito da tempo nella sostanziale disattenzione dell’Occidente.
Casi estremi, ma analoga disattenzione ha riguardato le «politiche della storia» perseguite dai governi sovranisti in Ungheria, in Polonia e altrove attaccando duramente chi vi si oppone.
Per altri versi sembra pesare ancora «l’ombra del Muro», nel permanere di «memorie incompatibili» (o comunque di aree di reciproca estraneità e insensibilità: si pensi ai differenti modi di guardare alla Shoah e al Gulag).
Se si esplorano le narrazioni pubbliche che segnano i differenti paesi è forte l’impressione che le dissonanze siano cresciute talora più delle sintonie, e che sia urgente invertire la tendenza.
Che anche da questo dipenda il futuro dell’Europa.
Questo piccolo libro vuole essere un sommesso grido di allarme e il richiamo a un impegno talora disertato.
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