L’intervento di Bush è stato determinante per la conclusione dell’assedio a Ramallah.
E' la strategia degli USA in vista dell’attacco all’Iraq, previsto per il prossimo annoRoma, 29 aprile 2002 – Intervista a cura di Giovanna Reanda per Radio Radicale a Fiamma Nirenstein, editorialista ed inviata del quotidiano “La Stampa” in Medio Oriente.
In discussione la situazione in Israele dopo l’accordo raggiunto che consentirà al leader palestinese di uscire dall’assedio di Ramallah, le diverse opinioni sulla situazione incontrata dai militari israeliani a Jenin, il ruolo dell’Onu … e degli osservatori internazionali.“Sharon soffre della decisione di liberare Arafat, e ritiene che egli rimanga il motore del terrorismo, quindi questa non sarebbe una mossa giusta”, afferma Fiamma Nirenstein commentando le ultime notizie che arrivano da Ramallah.L’intervento di BushTale mossa va inquadrata nel contesto più ampio della strategia del presidente Usa George W.
Bush, in vista del annunciato attacco all’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.
Più vantaggioso, chiarisce Nirenstein, per gli Stati Uniti avere “Arafat libero, altrimenti nei paesi arabi aumenterebbe l’opposizione a Israele e Usa” e, nel contempo si moltiplicherebbe il “sostegno alla lotta palestinese”.Duole a Sharon che Ararat torni a svolgere quel ruolo di interlocutore che ebbe con Barak.
E duole ancor di più al premier israeliano perché della “condizione di processare in Israele gli assassini di Zeevi, Sharon ne aveva fatto un punto di onore basilare”.
Ma con gli accordi di oggi probabilmente i responsabili dell’uccisione di Zeevi saranno portati in un paese terzo.A sbloccare la situazione ha contribuito Bush, il quale “ha insistito enormemente, promettendo a Sharon che gli avrebbe dato una mano sulla commissione di inchiesta su Jenin”.La sfiducia di Israele verso l’Onu“Israele non ha nessuna buona ragione per fidarsi dell’Onu” e dei risultati dell’imminente inchiesta sui fatti di Jenin.
Del resto, ricorda Nirenstein, “molte risoluzioni sono state espresse contro Israele, compresa quella che equiparava il sionismo al razzismo”, e in più “la commissione per i diritti umani dell’Onu ha condannato la politica di Israele aggiungendo che i palestinesi hanno il diritto di combattere con ogni mezzo, quindi anche con il terrorismo”.
Risoluzione che tra l’altro “l'Ue ha votato”.A Jenin in realtà c’è stata “una battaglia, non una strage”, nessun organo di stampa occidentale riporta il fatto che “quella città era completamente minata, e da lì sono usciti 28 suicidi”.
Perché – si chiede la Nirenstein – “Jenin era diventata tutto questo, chi ha finanziato tutto questo, e forse Jenin non era un campo profughi ma una cittadella vera e propria del terrorismo?”.Gli ostacoli all’ingresso nell’UeIsraele tra l’altro “l’Internazionalizzazione del conflitto la sente come una cosa ostile”, e salvo gli Usa dal 1967 in poi, “registra un atteggiamento del mondo occidentale tutto sommato ostile”.Questo in primo luogo rappresenta “l’ostacolo principale all’entrata di Israele in Ue”.
Ci sono di fatto “difficoltà dalle due parti perché non c’è una storia positiva, non c’è fiducia non amicizia”.
Quella di oggi, conclude Fiamma Nirenstein, è “una Ue con molto antisemitismo”.
E' la strategia degli USA in vista dell’attacco all’Iraq, previsto per il prossimo annoRoma, 29 aprile 2002 – Intervista a cura di Giovanna Reanda per Radio Radicale a Fiamma Nirenstein, editorialista ed inviata del quotidiano “La Stampa” in Medio Oriente.
In discussione la situazione in Israele dopo l’accordo raggiunto che consentirà al leader palestinese di uscire dall’assedio di Ramallah, le diverse opinioni sulla situazione incontrata dai militari israeliani a Jenin, il ruolo dell’Onu … e degli osservatori internazionali.“Sharon soffre della decisione di liberare Arafat, e ritiene che egli rimanga il motore del terrorismo, quindi questa non sarebbe una mossa giusta”, afferma Fiamma Nirenstein commentando le ultime notizie che arrivano da Ramallah.L’intervento di BushTale mossa va inquadrata nel contesto più ampio della strategia del presidente Usa George W.
Bush, in vista del annunciato attacco all’Iraq di Saddam Hussein nel 2003.
Più vantaggioso, chiarisce Nirenstein, per gli Stati Uniti avere “Arafat libero, altrimenti nei paesi arabi aumenterebbe l’opposizione a Israele e Usa” e, nel contempo si moltiplicherebbe il “sostegno alla lotta palestinese”.Duole a Sharon che Ararat torni a svolgere quel ruolo di interlocutore che ebbe con Barak.
E duole ancor di più al premier israeliano perché della “condizione di processare in Israele gli assassini di Zeevi, Sharon ne aveva fatto un punto di onore basilare”.
Ma con gli accordi di oggi probabilmente i responsabili dell’uccisione di Zeevi saranno portati in un paese terzo.A sbloccare la situazione ha contribuito Bush, il quale “ha insistito enormemente, promettendo a Sharon che gli avrebbe dato una mano sulla commissione di inchiesta su Jenin”.La sfiducia di Israele verso l’Onu“Israele non ha nessuna buona ragione per fidarsi dell’Onu” e dei risultati dell’imminente inchiesta sui fatti di Jenin.
Del resto, ricorda Nirenstein, “molte risoluzioni sono state espresse contro Israele, compresa quella che equiparava il sionismo al razzismo”, e in più “la commissione per i diritti umani dell’Onu ha condannato la politica di Israele aggiungendo che i palestinesi hanno il diritto di combattere con ogni mezzo, quindi anche con il terrorismo”.
Risoluzione che tra l’altro “l'Ue ha votato”.A Jenin in realtà c’è stata “una battaglia, non una strage”, nessun organo di stampa occidentale riporta il fatto che “quella città era completamente minata, e da lì sono usciti 28 suicidi”.
Perché – si chiede la Nirenstein – “Jenin era diventata tutto questo, chi ha finanziato tutto questo, e forse Jenin non era un campo profughi ma una cittadella vera e propria del terrorismo?”.Gli ostacoli all’ingresso nell’UeIsraele tra l’altro “l’Internazionalizzazione del conflitto la sente come una cosa ostile”, e salvo gli Usa dal 1967 in poi, “registra un atteggiamento del mondo occidentale tutto sommato ostile”.Questo in primo luogo rappresenta “l’ostacolo principale all’entrata di Israele in Ue”.
Ci sono di fatto “difficoltà dalle due parti perché non c’è una storia positiva, non c’è fiducia non amicizia”.
Quella di oggi, conclude Fiamma Nirenstein, è “una Ue con molto antisemitismo”.
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