09 FEB 2024
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La nuda verità - Il legame indissolubile tra amore, dignità e libertà. Un affaire dei sentimenti. Conversazione con Beppino Englaro. A quindici anni dalla morte di Eluana

RUBRICA | di Maria Antonietta Farina Coscioni - Radio - 11:00 Durata: 35 min 35 sec
A cura di Carmine Corvino e Delfina Steri
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Quindici anni sono passati da quando Eluana Englaro, dopo aver vissuto in stato vegetativo per 17 anni, è stata liberata e riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di San Daniele a Paluzza in Friuli.

Vittima di un incidente stradale che la precipita in uno stato di incoscienza irreversibile, si è trovata al centro di una lunga vicenda giudiziaria e politica.

Beppino e Saturna Englaro, ben sapendo che la figlia mai avrebbe accettato di essere mantenuta in vita senza che ci fossero la possibilità e la speranza di un ritorno pubblicamente si battono per ottenere l'interruzione del
trattamento che le impedisce di andarsene.

La famiglia avrebbe potuto raggiungere l’obiettivo come fanno spesso tante persone in silenzio, con la complicità della mano pietosa di un medico o di un infermiere.

No: la famiglia Englaro non ha voluto ricorrere a un sotterfugio; ha voluto che fosse riconosciuto il diritto a una vita e a un fine vita dignitosi.

In quei 17 anni Eluana non era più l’Eluana che avrebbe voluto essere.

Il padre Beppino chiedeva di “liberarla” da un corpo che si era trasformato in mero involucro.

Sono stati anni di polemiche aspre.

Accanto ad autentiche lacerazioni e conflitti di coscienza, molte prese di posizione offensive, irrispettose e strumentali.

Ma soprattutto un vuoto politico: l’incapacità di governare ancora una volta le situazioni, il delegare ai giudici il "che fare", il "come fare".

E dire che tutto era così chiaro: Eluana non era più la splendida ragazza ritratta nelle fotografie pubblicate sui giornali.

A noi che abbiamo potuto vederla, immobile e immota, nel lettino è apparsa purtroppo, atrocemente mortificata, in uno stato pietoso e penoso.

Per fortuna, altrove, sospesa: non più viva, non morta ancora.

La questione era semplice, bastava seguire le regole del buon senso, le regole dettate dalla coscienza e dalla scienza.

Il prendere atto dell’assurdità di accanimenti inutili quando la sofferenza non ha scopo e ragione, soprattutto quando chi ne è vittima chiede che sia rispettata la sua dignità perché rifiuta l’ostinato insistere sempre e a ogni costo.

È un diritto che affonda nella Costituzione: in proposito il costituente Aldo Moro ha scritto pagine esemplari.

Come esemplari le pagine scritte da Tommaso Moro, martire e santo protettore dei politici italiani.

Problemi, a distanza di anni ancora aperti: come garantire a chi ne ha diritto le cure palliative che evitino inutili sofferenze; come assicurare concreto aiuto alle famiglie di malati e disabili; come costituire quella indispensabile rete di sostegno non solo economico ma anche psicologico, a quanti vengono a trovarsi in situazioni difficili e complesse.

C'è molto ancora da fare, da garantire, con i malati, con i disabili, per i malati, per i disabili, con le loro famiglie, per le loro famiglie.

È il Parlamento che deve legiferare, è la politica che deve intervenire.

Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, Pannella, Marina Ripa di Meana, hanno consegnato il proprio corpo alla sedazione palliativa profonda.

Non si può sempre e solo confidare nei giudici, delegare compiti che spesso non sono i loro.

Sono trascorsi quindici anni dalla morte di Eluana, storia che dovrebbe continuare a interrogarci.

Oggi come ieri in cliniche e ospedali giacciono corpi vegetanti: corpi che ci chiedono di ripensare eticamente la scienza medica, i suoi indubbi progressi che però a volte si rivoltano contro l'uomo che l'ha creata.

Sì: pensiamo alle tante Eluana, ignote e ignorate e non solo il 9 febbraio, quando si deporrà un omaggio sulla sua tomba.

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